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LE ESPRESSIONI TRADIZIONALI E GLI SPAZI SIMBOLICI
Nelle frazioni di Stazzo e di Pozzillo si tiene ogni quattro o cinque anni l’importante pantomima dello “Scherzo del pesce”. Nel primo centro la rappresentazione è associata alla festa patronale di san Giovanni Nepomuceno, che cade la seconda domenica di agosto, mentre a Pozzillo si mette in scena in occasione della festa patronale di Santa Margherita, celebrata la prima domenica dello stesso mese.
Lo schema della rappresentazione si presenta strutturalmente analogo a quello della più nota rappresentazione del Pisci a mari che si tiene ad Aci Trezza, sebbene presenti diverse varianti (si veda specifica sezione).
Un gruppo di cinque o sei “attori” (pescatori nella vita reale) si trucca e veste con abiti vecchi, per interpretare il ruolo di pescatori e/o pescivendoli (riattieri); un altro attore, in costume da bagno e con delle squame da pesce dipinte sulla schiena, interpreta il pesce; un ulteriore personaggio, non sempre presente, è quello della mugghieri dû sìnnacu (la moglie del sindaco), impersonata da un uomo travestito da donna, che ha lo scopo di suscitare le risa e lo scherno degli spettatori, esibendosi in pose provocatorie e ridicole .
Il gruppo, accompagnato dalla banda e in un clima goliardico, si dirige a passo di danza verso il mare, dove la comunità lo attende per assistere alla pantomima.
A questo punto il pesce si tuffa a mare e il resto dell’equipaggio sale su un’imbarcazione (un tradizionale gozzo in legno, decorato a festa per l’occasione), dove pescatori e riattieri iniziano a sfidarsi e a contrattare per la compravendita del grosso pesce che sarà a breve pescato.
I marinai iniziano quindi le operazioni di pesca con la lenza; il pesce viene catturato ma, come previsto da uno schema simbolico ricorrente in molte feste, scappa per ben tre volte. «Dopo la terza cattura uno dei pescatori impugna la “mannaia” e inizia a tagliare il pesce che si tinge di rosso. I riatteri sono sempre più esagitati e qualcuno si mette a inseguire a nuoto la barca che per la terza volta si allontana rifiutando ogni offerta. Non si placa però la baruffa tra i pescatori, finché il pesce nuovamente si inabissa. La lite prosegue fino all’affondamento della barca» (Bonanzinga 2009: 75)
Secondo la leggenda, raccontata anche da Ovidio nel XIII libro delle Metamorfosi, il paese di Acireale, che insiste sul territorio denominato non a caso “Riviera dei Ciclopi”, deve il suo nome ad Aci, giovane pastore, figlio del dio Pan. Aci era follemente innamorato di Galatea, bellissima ninfa del mare (Nereide) dalla pelle color latte, che lo ricambiava nei sentimenti. I due innamorati vennero però contrastati da Polifemo che si era invaghito della fanciulla, e che, dopo il rifiuto della stessa, scagliò sul corpo di Aci un gigantesco masso che lo schiacciò.
La giovane Galatea, venuta a conoscenza della morte del suo amato, si precipitò dove si era verificato l’accaduto; la sua infinita tristezza destò la compassione degli dei, che decisero di trasformare Aci in un fiume che scende dall’Etna e sfocia nel tratto di mare dove i due amanti si incontravano.
Si pensa che quel fiume sotterraneo oggi riaffiori nei pressi di Santa Maria La Scala e sfoci in una sorgente che viene chiamata “Il sangue di Aci”, in siciliano U sangu di Jaci, per il colore rossastro delle sue acque, causato dalla presenza di ossidi di ferro.
Si narra che in occasione dell’avvento della dominazione araba, le popolazioni locali abbiano nascosto sotto terra tesori e somme di denaro, le cosiddette truvature. Pare che anche ad Acireale, all’interno della chiesetta delle Grazie si trovi nascosto un tesoro, sotto una grande pietra. Secondo la tradizione per trovare il tesoro bisogna sedersi sopra la pietra e mangiare una sarpa (salpa, un pesce osseo) cruda e bere un intero fiasco di vino. Pare nessuno sia mai riuscito a trovare il tesoro.