ISOLA DELLE FEMMINE Saperi del Mare

Isola delle Femmine (PA)

Description

I SAPERI DEL MARE

Foto concessa da Giuseppe Scarpa

Molte tecniche di pesca tradizionali che venivano in passato esercitate a Isola delle Femmine, si sono estinte a causa delle restrizioni legislative introdotte in tempi recenti. Tra queste, la tecnica più redditizia e praticata era quella della pesca con le spadare, un tipo di rete pelagica utilizzata per la pesca al pesce spada o dell’alalunga. In passato si praticava anche la pesca del bianchetto con la rete a circuizione a sacco, denominata tartaruni.

Tra le tecniche tradizionali ancora in uso si possono invece annoverare la pesca con il palangaro, una lunga lenza di grosso diametro con molti ami, l’utilizzo degli attrezzi da posta tradizionali e la pesca dei caponi con i cannizzi.

La tecnica di pesca dei caponi con l’utilizzo dei cannizzi è un antico metodo che prevede la creazione di spazi d’ombra in mare aperto dove le lampughe (comunemente denominate “caponi”) vanno ad appostarsi, rifugiandosi dai predatori. I pesci si radunano dunque sotto delle piattaforme galleggianti, appunto i cannizzi, che sono attaccate a delle zavorre poste nel fondale, affinché non vengano trascinate dalle correnti.

Foto concessa da Giuseppe Scarpa

Un peschereccio nel pomeriggio posiziona le proprie piattaforme galleggianti al largo, arrivando a collocare fino a quaranta cannizzi. La mattina seguente, intorno alle 4.00, con a bordo un piccolo equipaggio di pescatori (circa tre persone), il peschereccio esce dal porto al fine di raggiungere il luogo dove è stato posizionato il cannizzo più vicino entro le prime luci dell’alba. Giunti sul luogo, con un cianciolo (rete a circuizione) si pescano le lampughe che si sono rifugiate nell’oscurità. Questo procedimento viene ripetuto per ogni cannizzo che si incontra lungo il percorso; a volte, quando la pesca non è fruttifera, il procedimento viene ripetuto anche per tutto il percorso di ritorno nella speranza di conseguire una buona pesca.

La tecnica di pesca tramite l’utilizzo dei cannizzi è relativamente recente (secondo le fonti si pratica da circa 30 anni), ma tramandata tra le generazioni. Per portare a termine questo tipo di battute di pesca è tuttavia necessario l’utilizzo dell’antica tecnica della pesca con rete a circuizione.

Anticamente i pescatori intenti nella pesca dei caponi andavano alla ricerca di “cose perse”: relitti galleggianti o depositati nei fondali del mare generalmente abbandonati da grosse navi (pedane, pezzi di cime, etc.) al loro passaggio. Secondo lo stesso principio della ricerca di un riparo dai predatori, i caponi andavano, infatti, a rifugiarsi sotto questi oggetti. La ricerca richiedeva molto tempo e dispiego di energie, poiché procedeva per tentativi, e l’unico elemento che potesse aiutare la “cerca” era l’osservazione del volo dei gabbiani, che, dall’alto, puntavano le loro prede. Come anticipato, da circa 30 anni a questa parte si è diffuso l’utilizzo dei cannizzi per attirare i caponi. I pescatori raccoglievano delle canne di bambù (che danno origine all’etimologia del termine cannizzo) che venivano legate per costruire una piattaforma galleggiante, simile ad una zattera. Le canne vennero poi successivamente sostituite dalle foglie di palma. Entrambi questi elementi naturali avevano però lo svantaggio di impregnarsi d’acqua, e quindi di appesantirsi e affondare in seguito ad un lungo stanziamento ammollo; così dopo circa un mese o 40 giorni dovevano essere sostituiti da nuovi piani in canna di bambù o palma. Per questo motivo, in tempi più recenti, pur mantenendo lo stesso nome, le canne e le palme sono state sostituite dai cosiddetti faldoni, teli sintetici, attaccati a pezzi di sughero galleggianti. Questo tipo di strumento è più semplice da realizzare e trasportare ed è più duraturo nel tempo.

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