PROVINCE DI SIRACUSA E CATANIA Tonnare Fisse, Costruzioni e Manufatti Tradizionali

PROVINCE DI SIRACUSA E CATANIA

Description

Tonnara di Portopalo. Foto di Michele Ponzio via Wikimedia commons

Una delle “tre punte” della Sicilia, abitata e frequentata sin dall’antichità, presenta una lunga fascia costiera quasi interamente bagnata dal Mar Ionio. Esposta al versante che guarda oriente, intercettava attraverso tonnare “di ritorno” i tonni che rientravano verso l’Atlantico dopo la riproduzione. In questo tratto di mare operavano alcuni degli impianti più importanti e noti della Sicilia, molto attivi anche nella trasformazione e commercializzazione del pescato.

Il territorio di Portopalo di Capo Passero, all’estremità della Sicilia sud-orientale, è stato storicamente un punto strategico per la pesca, anche se interessato da numerose correnti. L’ambito costiero del borgo marinaro con la vicinissima isola di Capo Passero che separa e crea “due mari”, ospitò così due stabilimenti. La Tonnara di Capo Passero è di origini antichissime, probabilmente medievali. Passò in gestione a numerosi proprietari tra cui il Barone Camemi, Nicolaci Principe di Villadorata, i Rau e i Belmonte. Il Nicolaci, che ne acquisì la proprietà nel 1774, ampliò e ammodernò notevolmente la struttura. Nello stesso periodo, si avviarono le controversie con un nuovo stabilimento, noto come Tonnara di Portopalo o Ferreri. Il nuovo impianto, posto più a sud, nonostante la vicinanza al precedente, non riuscì a ridurne il pescato, tanto che risultando poco redditizio fu presto abbandonato. Nell’Ottocento, anche a causa di controversie nella gestione, l’impianto di Capo Passero attraversò un periodo altalenante. Nel 1895 la tonnara venne riattivata da Pietro Bruno di Belmonte con ottimi risultati; seguendo le innovazioni tecnologiche apportate dai Parodi di Genova, ammodernò nuovamente l’impianto realizzando così uno stabilimento completo di matrice industriale. Nei primi del Novecento, per potenziare ulteriormente la capacità di pesca, venne calata un’altra tonnarella, sempre all’interno della zona di concessione. Con la crisi del settore, la tonnara ultimò la sua attività nel 1975. Il complesso architettonico, oggi in stato di abbandono, rappresenta un magnifico esempio di archeologia industriale; sono ancora visibili i numerosi ambienti come i magazzini, i laboratori, ma anche la chiesetta e la ciminiera della fornace. Stessa sorte subirono le strutture per il ricovero delle imbarcazioni localizzate sull’Isola di Capo Passero e che fungevano da supporto direttamente a mare.

Tonnara di Marzamemi. Foto di Carlo Morino via Wikimedia commons

Lungo il litorale di Pachino aveva sede uno degli stabilimenti più prolifici della Sicilia che acquisì la fortuna e probabilmente le attrezzature di un altro impianto del comprensorio, la Tonnara di Fano, sita presumibilmente in contrada Torrefano, che chiuse dopo pochi anni di attività. Nel territorio di Pachino ha così sede la Tonnara di Marzamemi, di origini molto antiche, nel XVII secolo iniziò le sue attività in periodo spagnolo. Passata al nobile Simone Calascibetta nel 1655, nel Settecento divenne il nucleo pulsante dell’omonimo borgo marinaro che stava per sorgere intorno alle strutture del suo complesso architettonico. Questo comprendeva la loggia, la Chiesa di San Francesco di Paola e il Palazzo del nobile, restituendo così un complesso produttivo, ma anche aggregativo e monumentale. Durante l’Ottocento fu tra i possedimenti dei principi di Villadorata che l’aveva già gestita in passato e che, operando anche su altre tonnare del comprensorio, riuscirono a concentrare con più efficacia il pescato e i profitti proprio su Marzamemi a discapito degli altri. Nel 1912 affiancarono all’impianto uno stabilimento di lavorazione e salagione del tonno, impiegando così molti uomini e donne del borgo. L’insediamento e la piazza principale si animarono ulteriormente con la realizzazione del collegamento ferroviario, incentivando la nascita di nuove botteghe legate però alla lavorazione di pesce di piccola taglia. Nel Novecento infatti, con la progressiva crisi del settore e alterni periodi di inattività, la tonnara chiuse i battenti nel Dopoguerra. Negli anni di messa in opera, l’impianto ottenne grandi profitti e ottimi risultati di pesca diventando il più importante stabilimento “di ritorno” della Sicilia. I raisi della tonnara attribuivano questa fortuna alla particolare configurazione del fondale locale in grado di incanalare con pochi sforzi i tonni nelle reti. Oggi la distribuzione a corte delle diverse strutture fa da attrazione turistica e cornice al nucleo pulsante del borgo di Marzamemi, conosciuta ormai come una delle più belle mete turistiche della Sicilia.

Tonnara di Vendicari. Foto di Daniele Chessari via Wikimedia commons

Il vasto territorio di Noto si affaccia sul mare in un contesto paesaggistico e naturalistico di notevole valore e bellezza. La Tonnara di Vendicari, sita nell’omonima riserva naturale, è di origine molto antica; vi è affiancata infatti una torre di avvistamento di probabili origini sveve in una caletta già utilizzata come approdo e sbocco a mare per la città di Noto. Conosciuta anche come Tonnara di Bafutu per il nome del capo su cui è localizzata, nel 1655 ricade tra i possedimenti di Simone Calascibetta insieme ad altri impianti del comprensorio. Nel Settecento entra in conflitto con i vicini stabilimenti a causa della ridotta distanza; temendo l’apertura di nuovi impianti e vivendo un periodo di scarsi profitti, progressivamente la tonnara cessò l’attività. Negli ultimi anni dell’Ottocento, viene presa in gestione dal Principe di Villadorata che riattiva lo stabilimento. Con l’alternanza di nuovi proprietari, la tonnara cala le ultime reti nel 1944. Piccole strutture affiancate ad una suggestiva distesa di pilastri restaurati del marfaraggio e l’alta ciminiera, oggi spiccano insieme alla vicina Torre Sveva, nello splendido paesaggio della riserva naturale. Sulla vicina Isola di Vendicari, poco più a sud, si trovava probabilmente la solitaria casa del rais, utilizzata come residenza durante il periodo della pesca.

La Tonnara Sta’ in pace o Stampace fu localizzata nei pressi dell’antica colonia siracusana di Eloro in prossimità della foce del Tellaro. Molto vicino ad una preesistente torre trecentesca, lo stabilimento “Sta in pace” poiché sotto la sua protezione a guardia dalle incursioni dei pirati. Nel tardo Ottocento, insieme ad altri impianti del litorale, fu gestita da Ottavio Nicolaci Principe di Villadorata che però preferì potenziare gli altri stabilimenti. Oggi della tonnara non rimane nessuna traccia.

La Tonnara di Fiume di Noto o di Avola, sita sul litorale di Marina di Avola, in origine era localizzata nei pressi dell’omonimo torrente oggi individuabile come il Fiume Asinaro. Inizialmente affittata dai Nicolaci, nel Seicento venne gestita dal Conte La Massa e nel 1655 passò a Simone Calascibetta, all’epoca proprietario di altri importanti impianti come quelli di Marzamemi e Vendicari. Subì i danni del sisma che colpì la Val di Noto nel 1693 tanto che nel Settecento i Tornabene, nuovi gestori, operarono importanti lavori di restauro, integrando anche una chiesetta e un palazzo nobiliare. Nei decenni successivi passò a diversi proprietari; nonostante fosse conosciuto per i buoni risultati, come gli altri impianti siciliani subì la crisi del Novecento, terminando l’attività negli anni Cinquanta. Oggi della tonnara rimangono gli scheletri di alcune strutture del complesso che, a pochi metri dal mare, è spesso soggetto a mareggiate che ne danneggiano ulteriormente i fabbricati già in pessime condizioni.

Il litorale di Siracusa, frastagliato e ricco di calette, scogli e insenature ha visto avvicendarsi numerosi impianti. La Tonnara di Fontane Bianche aveva sede nella cala dell’attuale insediamento turistico che ne ha ereditato il nome e oggi frazione di Siracusa. La denominazione è associabile alla presenza di diverse sorgenti nel territorio, storicamente noto per la bellezza del paesaggio e la ricchezza dei giardini. Negli ultimi decenni del Seicento lo stabilimento fu al centro di un contenzioso tra il concessionario Giuseppe Omodei e Don Silvio La Feria a vantaggio di quest’ultimo. Nel Settecento la tonnara lavorò fra alti e bassi, sperimentando con successo l’utilizzo di un sistema “di corso” progettato insieme al rais dell’epoca. Sul finire dell’Ottocento, insieme ad altri impianti, quello di Fontane Bianche entrò a far parte della gestione dei Nicolaci Principi di Villadorata. Nonostante la volontà di avvantaggiare la tonnara di Marzamemi convogliando lì i tonni, nei primi anni del Novecento il barone Pietro Modica Nicolaci volle riaprire l’impianto avviando quella che potremmo definire una gestione familiare. Dal 1920 a causa degli scarsi profitti in relazione ai costi, si decise di non calare più le reti, godendo invece dello splendido contesto trasformando progressivamente la tonnara in residenza di villeggiatura. Nel Dopoguerra le strutture lasciarono il posto a uno stabilimento balneare, trainato dalla crescente attenzione turistica e speculativa per la località di Fontane Bianche.

La Tonnara di Ognina sita a sud dell’omonima frazione siracusana, era localizzata nei pressi di una torre di avvistamento di cui oggi rimangono solo pochi resti. Attiva e ben pescosa nel Settecento, probabilmente fu inattiva già nel secolo successivo per poi scomparire senza lasciare tracce.

La Tonnara di Terrauzza calava le reti nel piccolo golfo tra Punta di Milocca e Capo Meli a sud della penisola del Plemmiro. Nel 1689 l’attività di pesca fu avviata dal Convento di San Francesco di Paola di Siracusa che nel Settecento diede in affitto l’impianto al nobile Antonio Blanco. Negli anni successivi la tonnara vide diversi affittuari finché fu acquistata sul finire dell’Ottocento dai Principi di Villadorata che curarono l’investimento per mantenere l’impianto inattivo a vantaggio di altri di loro proprietà. Nei primi del Novecento passò in gestione ai Quadarella che assistettero nel 1904 a una pesca miracolosa molto prolifica che avviò un ventennio di buoni profitti e li convinse a chiamare la figlia appena nata Grazia. La crisi del settore e problematiche legate alla licenza sul tratto di mare, obbligarono la chiusura dell’impianto pochi anni dopo. Nota anche come Masseria Terrauzza, oggi presenta solo alcuni ruderi del marfaraggio e delle strutture a supporto avvolti in uno scenario selvaggio a pochi passi dal mare.

Tonnara di Santa Panagia. Foto di Michele Ponzio via Wikimedia Commons

I ruderi del grande complesso architettonico della Tonnara di Santa Panagia, pochi chilometri a nord di Siracusa, sono immersi in un meraviglioso contesto paesaggistico e storico di millenarie stratificazioni. Le origini dell’impianto probabilmente risalgono al XII secolo, ma era certamente attivo nel 1466 in comproprietà tra i Bonanno, Landolina, Vico e Castellentini. Nel 1655 è ceduta ai Calascibetta, noti gestori di altri impianti del siracusano. A seguito di numerose controversie fra parenti ed eredi, la struttura passò alle famiglie Bonanno e Longarini che la gestirono fino al 1938. Iniziato il periodo di crisi e l’avvicendamento di altri proprietari, la tonnara fu definitivamente abbandonata negli anni Cinquanta. Lo splendido esempio di archeologia industriale, uno dei più grandi in Sicilia, emerge con grande forza sul litorale come un complesso di diversi ambienti e strutture ormai diroccate. Nonostante le grandi potenzialità del sito, è ancora in attesa di un progetto concreto di riqualificazione.

Il litorale a nord di Siracusa, presenta buone caratteristiche morfologiche per ospitare stabilimenti. La vocazione industriale novecentesca e lo sviluppo della portualità hanno però compromesso il passaggio dei branchi di tonno nei pressi della costa. Disturbati da inquinamento e motori delle imbarcazioni, la loro diminuzione segnò così definitivamente la fine della pratica della pesca del tonno in questo tratto di costa.

Nel territorio di Melilli, sulla penisola di Magnisi dove sorse l’antica civiltà di Tapsos, la Tonnara delli Magnisi svolgeva la sua attività già dal XIV secolo. Lo stabilimento dal Seicento rientra tra i possedimenti dei Romeo, Marchesi di Magnisi, insieme alle saline del vicino pantano. Nei secoli successivi l’impianto fu coinvolto dalla vicina Tonnara di Santa Panagia in controversie legate alla poca distanza tra le reti calate. L’operosità dello stabilimento si ridusse progressivamente alternando periodi di chiusura a buoni risultati durante l’Ottocento. L’impianto chiuse definitivamente negli anni Quaranta del Novecento.

Sul versante opposto della penisola, nel 1807 venne calata in via sperimentale dal Principe di Paternò la Tonnara di Melilli; attività subito interrotta a causa dei costi elevati. Secondo alcuni studiosi la stessa denominazione individuava invece lo stabilimento Magnisi.

Tratto di costa del borgo marinaro di Brucoli in cui operava l’omonima tonnara. Foto di gnuckx via Wikimedia commons

La Tonnara di Brucoli fu attiva su un piccolo golfo a nord di Augusta con una struttura sita nei pressi di Punta Bonico, oggi solo parzialmente individuabile. Attivata nei primi anni dell’Ottocento, dal 1880 fu concessa al Barone Spitalieri. Localizzata in un sito poco favorevole, terminò di operare pochi decenni dopo.

Sul medesimo litorale fitto di cale e insenature, fu attivata la Tonnara di Poggio Grosso, di cui non si hanno notizie da parte degli studiosi.

La Tonnara di San Calogero nel territorio di Augusta fu localizzata in contrada Castelluccio nella cala in cui sfocia l’omonimo torrente, protetta da una torre e un piccolo castello. Sicuramente attivo nel Settecento, si hanno pochissime notizie sullo stabilimento, di cui oggi si sono perse tutte le tracce.

Nella Provincia di Catania, per suo posizionamento marginalmente interessato dalle rotte dei tonni, si segnala solo la presenza della Tonnara di Acireale o di Jaci di cui gli storici non hanno evidenziato notizie, ma probabilmente attiva fino ai primi decenni del Novecento.

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