SCIACCA Saperi del Mare

Sciacca (AG)

Description

I SAPERI DEL MARE

Foto di Tamara Smekhova

Ucianciolu è una rete da circuizione, soprattutto adatta alla pesca di sardi e anciovi. È composta da maglie molto sottili capaci di imbrigliare i pesci, è sostenuta da un cavo di corda (bbriemu) al quale sono legati i sugheri, che non devono superare in peso u chiummu, ovvero i piombi che permettono alla rete di raggiungere il fondale. La pesca tradizionale col cianciolo si svolge la sera e prevede l’uso di un’imbarcazione principale e di due o tre piccole barche (lanci o lancitieddi) incaricate di attirare i pesci con la luce di una lampada (a lampa). La rete è calata al momento opportuno girando attorno alle lampare e creando un coppu che imprigiona i pesci. Alla tecnica tradizionale del cianciolo si accompagnano quelle a volante, strascico, i palangari e la posta. Le specie ittiche interessate da questa specifica tecnica di pesca sono: sardi, anciovi, scurmi, ucchiati, uopi, savuri, maccarrunieddu. Il periodo più idoneo per questa tipologia di pesca va dal mese di marzo a quello di ottobre.

Le operazioni di pesca con il cianciolo si svolgono da tempo con l’ausilio di pezzi meccanici (u carrabbinieri, il verricello, il paranco), che hanno sostituito la sola forza manuale, ancora utilizzata per tirare u pannu r’a rizza. Le trasformazioni delle tecniche tradizionali di pesca e di lavorazione del pescato rendono la presenza della risorsa a Sciacca particolarmente preziosa. Tra i soggetti detentori dei saperi connessi a questa tecnica di pesca è possibile annoverare, tra gli altri, la famiglia Piazza.

La pesca e salagione del pesce azzurro a Sciacca è un’eredità immateriale iscritta nel Libro dei Saperi del REI (data approvazione 24/05/2012; n. prog. 154).

Foto di Emanuela Caravello

La trasformazione del pescato avviene presso le aziende ittico-conserviere, alcune delle quali custodiscono e riproducono i saperi tradizionali per la lavorazione dei prodotti del mare. Per la preparazione in salamoia le scamozzatrici procedono manualmente a scamozzare le sarde, ovvero a togliere le teste e sfilettare i pesci, che sono disposti, irrorati di olio e pressati all’interno di vasetti successivamente chiusi, sterilizzati ed etichettati. La tecnica di salagione prevede, invece, la disposizione a raggiera delle sarde su più strati, ciascuno dei quali è cosparso di sale. I pesci vengono infine pressati in due fasi prima della messa in vendita. Insieme alle sarde, le specie ittiche interessate dalle tecniche tradizionali di conservazione sono anciovi, scurmi, ucchiati, uopi, savuri, maccarrunieddu.

Le recenti trasformazioni delle tecniche tradizionali di lavorazione del pescato rendono la presenza della risorsa a Sciacca particolarmente preziosa.

Insieme alla pesca, la salagione del pesce azzurro a Sciacca è stata iscritta nel Libro dei Saperi del REI (data approvazione 24/05/2012; n. prog. 154).

Foto di Emanuela Caravello

La manutenzione dei pescherecci in legno è ancora oggi affidata ai saperi artigianali tradizionali. Il mastru è una figura ancora presente a Sciacca dove si tramandano gli antichi saperi connessi alla costruzione delle imbarcazioni tradizionali, come la lancia (lancitiedda) o il gozzo (vuzzarieddu), a fianco delle nuove tecniche lavorative. I mastri d’ascia dei cantieri navali di Sciacca custodiscono la memoria e la conoscenza delle caratteristiche delle varie tipologie di legno, le competenze necessarie per la costruzione dell’opera morta, per la sistemazione del fasciame, per il calafataggio etc. I mastri detengono, insieme alla conoscenza della materia prima, la capacità di maniari li ferri, ovvero di manipolare con competenza gli strumenti del mestiere. Gli utensili tradizionali, in parte ancora custoditi presso i cantieri navali, sono i seguenti: sagoma di legno (menzu aibbu), seghe (sierra tri anieddi, sierra i struncari, sierra i guainniri, sierra i rifilari, sirràculu), pialle (chianuozzi e chianuozzi gruossi), asce (asci e asciunieddi), tenaglie, martelli, sgorbie e scalpelli, manarole (tràpani), siggienti, cagni, chiova zincati, maittieddu e fierru i calafataru, stuppa.

A Sciacca le competenze e conoscenze del mastro d’ascia sono ad oggi ancora documentabili e vitali. Tra i detentori di questi saperi connessi alla costruzione e manutenzione di barche è possibile annoverare le famiglie Rapisarda e Bonsignore, che tramandano da generazioni i saperi e le pratiche gestendo due cantieri navali che hanno sede al porto di Sciacca.

Foto di Tamara Smekhova

La pesca del corallo a Sciacca è attestata da fonti antiche e testimoniata dalla presenza nelle collezioni ottocentesche di Giuseppe Pitrè. Scrive a riguardo Giuseppe Cocchiara (1938: 31): «A questa industria [la pesca del corallo] è legato un ordigno speciale, la cruci, attaccata, al Museo Pitrè, in un esemplare di barca corallina, ‘u lauleddu, proveniente da Sciacca. La barca, quasi sempre dipinta in nero, non ha nulla di notevole. La cruci, invece, è costituita da due bacchette a croce, alle cui estremità sono attaccate funi con frammenti di rete. In queste reti rimane appunto impigliato il corallo».

La tecnica di pesca e gli attrezzi sono descritti da Giuseppe Pitrè nel XXV volume della sua “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”:

«I solidi legni, tagliati ad angolo retto a foggia di croce, hanno di sotto la grossa e pesante pietra che assicura la discesa del l’attrezzo al fondo del mare, ed alle quattro estremità fortemente legate dalle funicelle con frammenti di rete. Maggiore è il fondo nel quale si cala lo attrezzo, più grossa e pesante vuol essere la pietra, invece della quale alcuni pescatori legano sotto o sopra il centro della croce un gran pezzo di piombo.

Gettata la croce a mare, la barca per forza di remi dei pescatori si muove ora in avanti, ora indietro, in modo che quella urti, strisci sui banchi di corallo trascinando con le reti i rami che vi si saranno impigliati. Dal farsi la barca restia al remigare i barcaiuoli presumono la fortuna della pesca.

La gomena della macchina scorre sopra una carrucola raccomandata ad un asse sporgente per lo più a prua ed i marinai la tiran su con manovelle conficcate in una solida asse.

Finché la croce coi suoi fili non venga su a fior d’acqua, non si può sapere se l’operazione sia fruttuosa o no» (pp. 405-406).

Gli utensili tradizionali di questa pesca speciale sono, quindi, a cruci e u lauleddu, insieme agli strumenti funzionali alla lavorazione del corallo. A cruci è un attrezzo formato da due bastoni incrociati e zavorrati nel punto di unione con quattro reticelle di lino o canapa poste all’estremità dei bracci, utilizzato per avviluppare e sradicare il corallo. U lauleddu/corallina/bilancella è un’imbarcazione apposita per la pesca del corallo. Strumenti specifici di oreficeria del corallo: mole, lime, tenaglie, trapano, stagno calcinato, con il buratto, contenente sostanze abrasive, sacco di tela con sabbia o acqua e pomice in polvere.

La lavorazione del corallo è un sapere del mare che si mantiene ancora nella pratica delle botteghe artigianali locali.

Il Consorzio Corallo Sciacca riunisce dal 2013 gli artigiani corallari con l’obiettivo di tramandare e valorizzare le antiche tecniche di lavorazione di una tipologia di corallo unica al mondo. Il Consorzio è depositario del marchio collettivo di tutela “Corallo di Sciacca” registrato presso il Ministero dello Sviluppo Economico (UIBM).

I maestri orafi aderenti al Consorzio Corallo Sciacca sono la Famiglia Conti; Sabrina Orafa in Sciacca; G&M Gioielli Caruana. Questi detentori dei saperi testimoniano l’eccellenza dell’artigianato locale e rinsaldano il legame identitario del borgo di Sciacca con la lavorazione del corallo.

Con il termine Dracunara si indicano a Sciacca i tagliatori di trombe d’aria, che rappresentano un pericolo sempre incombente sulle imbarcazioni. Per scongiurarne i rischi i pescatori mettevano in atto una pratica rituale che prevedeva l’utilizzo di una falce per tagliare dalla base le trombe d’aria, o code di drago. Ancora oggi la pratica risulta attestata, insieme all’uso di custodire sulle imbarcazioni le falci come oggetti apotropaici.

La tromba marina è così descritta da Giuseppe Pitrè nel terzo volume di “Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”: «Fisicamente è quella specie di procella che formasi da un turbine a foggia di colonna dal mare fino alle nuvole. Ma secondo il popolo è cosa ben diversa» (1889b: 79). Come riporta il demologo siciliano, la tromba d’aria può assumere diversi aspetti, anche antropomorfi. Il tagliatore di trombe d’aria è tradizionalmente un marinaio che ha acquisito la facoltà di intervenire ascoltando dai più anziani un’orazione la notte di Natale o il Venerdì Santo e secondo una precisa ritualità. Una volta trasmessa, la capacità d’intervento sulle trombe marine consiste nella facoltà di tranquillizzare il mare recitando l’orazione appresa e segnando tre tagli orizzontali o tre croci l’aria, con la mano, con un coltello benedetto o con una falce impugnata con la mano sinistra.

Le sarde sono l’ingrediente principale di questo alimento tradizionale, composto da due pesci aperti e sovrapposti, conditi con una farcia di pangrattato, pecorino siciliano e limone.

La preparazione prevede la pulizia preliminare delle sarde dalle lische, successivamente la farcitura di due sarde alla volta sovrapposte e pressate tra due foglie di alloro, la panatura nella farina e infine la frittura in olio ben caldo.

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